[ Mondadori, Milano 2013 ]
L’ultimo lavoro di Sergio Luzzatto ha fatto molto scalpore: l’autore è stato accusato di voler denigrare in un sol colpo Primo Levi e la Resistenza. Il libro ricostruisce il contesto di un evento autobiografico cui Levi accenna nel Sistema periodico: l’esecuzione di due giovanissimi partigiani da parte dei compagni, il giorno prima che un rastrellamento porti all’arresto della banda dello scrittore e di un’altra meglio organizzata e armata. Luzzatto cerca di scoprire le ragioni di questa esecuzione, senza riuscirvi, ma la mancata risoluzione del “giallo” non inficia l’interesse e la tenuta del libro, che segue le conseguenze di quell’episodio nel tempo, nelle vite dei protagonisti e nell’opera letteraria di Levi.
Una vicenda apparentemente insignificante, cui solo la presenza dello scrittore tra i comprimari sembra dare importanza, diventa così «una storia della Resistenza «: «la storia conteneva, come un guscio di noce, una quantità sorprendente di materia. […] La parte per il tutto: una storia della Resistenza per raccontare la storia della Resistenza» (pp. 16-17). Per tutto il libro, e non solo nell’introduzione in cui spiega com’è nata e perché ha proseguito la ricerca, l’io dello storico è in scena: un io che non racconta solo i fatti, ma il modo in cui è arrivato a conoscerli, connetterli, ricostruirli, e anche come i suoi sforzi siano stati talora vani.
Questa presenza è sembrata a molti ingombrante, eppure non si tratta di un mero gesto narcisistico, quanto piuttosto dello strumento narrativo che conferisce alla storia una dimensione etica e civile: la voce narrante, che a tratti si trasforma nel personaggio del ricercatore che porta avanti la sua indagine inseguendo non solo le carte ma anche i testimoni e i discendenti di chi aveva vissuto quelle antiche vicende, è lo stesso ragazzino a cui la madre leggeva le Lettere dei condannati a morte della Resistenza, è il padre, docente e cittadino che si pone il problema di come tramandare ai figli e agli studenti non solo la memoria degli eventi che hanno fatto la Resistenza, ma soprattutto dei valori per cui gli uomini e le donne che l’hanno combattuta hanno rischiato o perduto la vita.
Il racconto della ricerca finisce per veicolare implicitamente il significato etico del mestiere di storico – fatto di fedeltà alla verità, di consapevolezza che ogni sforzo operato dal singolo per ricostruirla è parziale e fallibile, del riconoscimento della distanza e alterità del passato – e pone implicitamente il problema del significato per noi degli avvenimenti passati. «Oggi, una storia della Resistenza ha un senso civile unicamente come corpo a corpo. Il corpo a corpo dei personaggi, impegnati a combattersi non soltanto per odio, ma per una diversa idea di umanità, di giustizia, di società. Per guardare non a santini né a mostri, ma a figure vere. E per cercare di compiere, insieme alle migliori fra queste, un nuovo passaggio di valori e di memoria» (pp. 17-18).
Inseguendo fatti e personaggi, biografie e documenti, il libro di Luzzatto riesce a restituire la dimensione minuta, materiale, complessa e anche ambigua di quella vicenda storica particolare, e della Resistenza in generale: una Resistenza colta nel suo momento aurorale e negli strascichi giudiziari postbellici, poco eroica o ancora non eroicizzata. È questa la Resistenza che ha senso raccontare oggi, dopo la crisi dell’antifascismo di cui sono sintomo i libri di Pansa – un fenomeno mediatico e memoriale che Luzzatto prende sul serio, e a cui il libro parzialmente risponde –, per ridare un senso pieno e non retorico alle scelte di chi ha combattuto a dispetto di ogni umana ambiguità e fragilità.
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